Oggi ho mandato a
Sconfinare, il bimestrale degli studenti del corso in
Scienze internazionali e diplomatiche, la seguente lettera, che è una risposta all'articolo di
Francesco Scatigna, comparso a febbraio e dal titolo volutamente provocatorio "
Il friulano non è una lingua".
Che ne pensate?
Caro Francesco,
ho avuto modo di leggere, con l’uscita degli ultimi numeri di “Sconfinare”, prima il tuo articolo dal titolo provocatorio “Il Friulano non è una lingua” sul numero di febbraio 2009, poi più di recente la replica al vetriolo di Giovanni Bernardis sul numero di aprile.
Non mi voglio dilungare sulla disquisizione sul fatto che il friulano, e qualunque altro idioma, sia o meno una lingua piuttosto che un dialetto: una disquisizione tanto annosa quanto inutile, essendo talmente labile e indeterminata, anche tra i linguisti, la separazione tra i due termini, e la definizione degli stessi, che ogni dibattito in materia risulta una semplice perdita tempo. Non dovrebbe servire far notare che spesso a stabilire se un’idioma avesse diritto al rango “legale” di “lingua” sono state guerre, cambiamenti nell’importanza economica di una regione e altri eventi storici di maggiore o minore durata nel tempo. (Quindi, a differenza di quanto tu affermi quasi in conclusione del tuo articolo, la distinzione tra lingua e dialetto è molto più fondata sul piano politico che sul piano linguistico).
Quel che conta, semmai, è l’autoidentificazione da parte di un dato gruppo di persone, chiamiamolo “popolo” se vuoi ma diciamo piuttosto un dato gruppo etnico. L’identità di un gruppo etnico ha varie basi: talvolta religiose, talvolta territoriali, talvolta appunto linguistiche. Più spesso un insieme di tutte queste cose.
Accade spesso che un gruppo etnico trovi nella lingua un forte elemento di autoidentificazione e distinzione (è il caso dei catalani, ad esempio, o dei ladini), altre volte è la religione (è il caso degli ebrei). Nel caso dei friulani, l’elemento linguistico è sicuramente predominante (certamente, anche qui, alla formazione di quest’identità concorrono tanti altri fattori, ma l’elemento distintivo nell’autopercezione degli stessi è la lingua: è friulano chi sa parlare o almeno capire il friulano). Quanto a ciò che sta alla base di tale autopercezione, che possa essere più o meno futile, più o meno storicamente fondato, non sta a nessun altro stabilirlo e giudicarlo in quanto si tratta appunto dell’autopercezione, dell’immagine che un popolo ha di se stesso. Immagino sia questo che intendi quando parli di “questa ritenuta unicità [...] che ha spinto su questo aspetto (buono in partenza) così importante per la comunità”.
Se questa è la situazione, risultano quanto mai difficili da comprendere, almeno su un piano razionale, talune tue osservazioni.
Innanzitutto, affermi che la tradizione è importante finché “non diventa prevaricazione nei confronti del vicino”. In primo luogo, risulta poco comprensibile a cosa tu ti riferisca. Immagino che vedere la segnaletica stradale di alcune parti del Friuli riportare “Vignesie” accanto a “Venezia” possa suscitare confusione (in specie nei turisti: e per questo sarei d’accordo a togliere questi cartelli bilingui che rischiano di far impazzire il turista), ma non vedo come possano suscitare una qualche forma di “prevaricazione”. Per quanto riguarda l’uso del friulano nelle scuole, per come la proposta era stata fatta (l’uso in forma veicolare quando tutti fossero stati d’accordo, o in un’altra formulazione, quando nessuno si fosse opposto) era tale, anche qui, da non prevaricare nessuno. Quindi sul piano concreto i rilievi non sussistono. Se si tiene poi conto che le ore di friulano non erano tolte a nessun’altra materia, non si vede nemmeno dove sia l’arroccamento culturale di cui parli.
Resta quindi solo da capire perché porre un diniego rispetto ad un’istanza di riconoscimento da parte di un’etnia di un elemento distintivo della propria cultura, considerato che non prevarica nessuno, non fa male a nessuno. Sarà che per formazione guardo a queste questioni con un’ottica liberale, ma così stando le cose mi posso solo porre, e credo che la politica debba sempre solo porsi la domanda “C’è un valido motivo (razionale) per dire NO?”. Personalmente non ne vedo.
Detto questo, mi permetto due ultime annotazioni.
In primo luogo, fai riferimento in maniera un po’ approssimativa all’uniformazione che ha subito il friulano negli ultimi anni. Nello specifico, ad essere stata uniformata per ragioni didattiche e ortografiche è la grafia e la grammatica del friulano scritto. Poi ognuno può pronunciare la parola scritta nel modo previsto dalla propria variante locale del friulano. La maggiore o minore variabilità di una lingua al suo interno è del resto dipendente da varie condizioni: nel caso friulano una certa variabilità potrà esser stata causata dalla scarsa mobilità geografica della popolazione contadina, dalle contaminazioni delle aree confinarie con idiomi contigui, o dall’isolamento geografico delle vallate alpine e prealpine.
In secondo luogo, ritengo che la politica abbia la funzione, in una democrazia, di far proprie e veicolare nelle istituzioni rappresentative le istanze della società. Mi trovo quindi difficilmente d’accordo quando affermi che del friulano “si devono occupare i linguisti, gli studiosi di etnoantropologia, anche i sociologi. Comunque, gli studiosi. Non i politici” perché innanzitutto se emerge un’istanza dalla società, la politica se ne deve occupare, in un modo o nell’altro, altrimenti significa che la democrazia non funziona; e in infine perché se una lingua è viva e vissuta, essa è viva nella società delle persone, nella polis dunque, e non vive solo negli studi e nei simposi di linguisti e antropologi.