domenica 8 novembre 2009

Quando i governi sono protezionisti

PressEurop sottolinea come la vicenda Opel, con la GeneralMotors che ha deciso di non cedere più Opel e non in particolare a Magna, abbia messo in luce il protezionismo e il localismo con cui i governi europei affrontano le crisi occupazionali.
Il governo tedesco di Angela Merkel preferiva dunque Magna perché il suo piano industriale concentrava i licenziamenti nelle altre fabbriche europee.

Sembra così speculare alle vicende italiane dello stabilimento Fiat di Termini Imerese, stabilimento che Fiat vorrebbe ristrutturare e non destinare più alle produzioni di veicoli (si parla di un suo passaggio a Cnh e quindi ai macchinari agricoli e industriali): anche qui il tutto ha un senso dal punto di vista industriale, ma le reazioni sono sempre state molto localistiche. In effetti, se l'obiettivo dev'essere la solidità di Fiat, meglio abbandonare Termini Imerese, ma di certo il trade off con il futuro industriale della Sicilia è un problema non da poco: ma forse si deve affrontare per altre vie.

martedì 15 settembre 2009

Non pensare all'elefante!

"Non pensare all'elefante!" (Ed. Fusi Orari) di George Lakoff è diventato un best seller tra i democrats americani ed un caso letterario anche tra i progressisti europei. Il linguista statunitense, docente a Berkeley, è uno dei principali esponenti della semiotica dei frame.
Il libro di Lakoff vuole essere soprattutto un aiuto ai progressisti di tutto il mondo per far fronte all'avanzata culturale dei conservatori. E' più che mai attuale anche in Italia: la tesi centrale di Lakoff è che la difficoltà dei progressisti a vincere le elezioni, nonostante abbiano spesso dalla loro sia i fatti, sia argomenti razionali e ragionevoli, consiste nella supremazia culturale della destra che nel corso degli anni ha imposto il linguaggio politico. E' così che oggi parliamo di "taglio delle tasse", sicurezza, immigrati
. E ciascuno di questi concetti evoca un frame, un contesto di riferimento, con precise connotazioni: immigrati=criminalità. Sicurezza=immigrati. Tasse=male. Con tutto ciò che ne consegue.
Ancora, Lakoff precisa come i frame rispecchiano i valori, le identità in cui si riconoscono i cittadini, e sono più importanti degli argomenti razionali. I fatti devono servire a sostenere le nostre argomentazioni, che devono però evocare i valori.
E tutto ciò è possibile perché i valori della sinistra (solidarietà, rispetto per l'altro, ecc.) sono condivisi dalla maggioranza della popolazione. Il problema è che non facciamo nulla per evocarli, mentre la destra è bravissima ad evocare certi frame a lei utili, ad esempio quello della sicurezza.
Ma possiamo fare in modo di cambiare il frame evocato dalla stessa parola. Ad esempio possiamo cambiare i termini del discorso, e parlare di sicurezza in termini di sicurezza sociale, di protezione dell'individuo dalle corporation, di protezione del consumatore dalla finanzia e dalle assicurazioni. E così via, togliendo il potere evocativo della parola sicurezza così come la vorrebbe la destra.
La cosa importante? Insistere! Insistere nel parlare il linguaggio progressista, anno dopo anno, non pensare che dire le cose una volta basti, non pensare che usare argomenti razionali sia sufficiente, non usare MAI il linguaggio conservatore ma sempre il proprio.

Non pensare all'elefante
di George Lakoff
Edizioni Fusi Orari
ISBN 88-89674-15-6
euro 12,00
pagg. 178

domenica 13 settembre 2009

L'effetto domino della mini-naia

In "Non pensare all'elefante" (ed. Fusi Orari), George Lakoff evidenzia come esistano delle iniziative politiche capaci di un effetto domino. Apparentemente l'obiettivo è circoscritto, in realtà una volta raggiunto quell'obiettivo si crea un effetto domino, cioè un cambiamento sistemico che si propaga all'intera società.

La "mini-naia" voluta dal ministro della difesa La Russa è un esempio di iniziativa politica ad effetto domino. Apparentemente, l'obiettivo è quello dichiarato: avvicinare i giovani alle forze armate, soprattutto alle forze alpine per riavvicinarli ad una realtà e tradizione in passato diffusa. In realtà, l'obiettivo di per sè abbastanza neutro, ha la potenzialità di avere conseguenze sistemiche.
Ai giovani che si avvicinano, vengono impartiti senso della disciplina, rispetto dell'autorità, senso dell'obbedienza verso l'autorità.
Il diffondersi progressivo di questi valori nella società riduce lo spazio valoriale della solidarietà, del valore della democrazia rappresentativa come qualcosa che si nutre non con l'obbedienza cieca ma con la partecipazione attiva.
Insomma, la mini-naia è un'iniziativa strategica ad effetto domino della destra, perché vuole rendere i cittadini obbedienti, scarsamente attivi politicamente, inclini ad accettare l'autorità ed eventualmente l'autoritarismo.

domenica 6 settembre 2009

I lavoratori e l'utile


Il governo ha recentemente proposto la partecipazione dei lavoratori agli utili aziendali. In passato, anche nei mesi scorsi, vi erano state proposte concrete di legare il salario alla produttività aziendale, con aperture significative dei sindacati, in specie di CISL e UIL: in generale si tratta di un orientamente coincidente con la tendenza a decentralizzare ampie fette della contrattazione sindacale verso la contrattazione aziendale.
L'intento sembrerebbe nobile e capace di creare un virtuoso legame tra andamento dei salari e andamento dell'economia reale. Tuttavia, va detto che la produttività di un'azienda non è, non lo è mai stato ma tanto meno lo è in imprese altamente capitalizzate come quelle attuali, un prodotto semplice del fattore lavoro. Le capacità gestionali del management, l'andamento ciclico dell'economia, ecc. incidono sulla produttività aziendali ma non dipendono da un maggiore o minore impegno dei lavoratori. I quali sarebbero in questo modo costretti a subire l'eventuale incapacità del management sulla propria pelle senza poter però licenziare quello stesso management.
Fra l'altro, bassa produttività non vuol dire basso utile. Cioè non necessariamente un'impresa poco produttiva è anche poco remunerativa per l'azionista: questi potrebbe anzi essere incentivato a fare pochi investimenti, ad adottare mille strategie per distribuirsi ampi dividendi, mentre la produttività aziendale cola a picco anno dopo anno per scarsa innovazione. Il risultato? Salari ristagnanti ma capitalista soddisfatissimo.
E' certamente vero che il problema del legame salario-economia reale si pone, ma va infine detto che in situazioni in cui l'economia reale ristagna per una crisi ciclica, legare il salario al ciclo economico rischia di deprimere ulteriormente la domanda a causa del ridursi dei consumi dei lavoratori. Insomma si rischia di generare un elemento pro-ciclico anziché contrastare cicli depressivi: avremmo dunque più crisi nei momenti di "magra", e più inflazione nei momenti di boom.

Mia sorella è una foca monaca

Ieri ho letto d'un fiato "Mia sorella è una foca monaca" di Christian Frascella.
Ambientato nella provincia lombarda a fine anni '80, è un buon libro, non direi che Frascella è un Salinger italiano come dice la 2a di copertina, ma è un buon libro.
E soprattutto finalmente riesco a leggere un libro dopo davvero tanto tempo. Oggi inizio a leggere "Non pensare all'elefante" di George Lakoff: vi ragguaglierò.

domenica 16 agosto 2009

Obama e la sanità (pubblica?)

Per Obama è la riforma delle riforme. Quella che i Democrats vorrebbero fare da decenni, e c'hanno già provato più volte senza riuscirci. L'ultima volta nel 1993 con Clinton.
La riforma del sistema sanitario americano, sulla scia di un'onda che ha visto ad esempio il Massachussets introdurre un sistema sanitario pubblico modellato su quelli europei, è l'argomento principe della politica americana in quest'estate 2009. A settembre si vedrà se il fronte democratico è coeso mentre la riforma è attaccati da molteplici gruppi di pressione repubblicani, nonché da lobby potenti come quella delle assicurazioni private, su cui attualmente si regge il sistema sanitario privato statunitense.

Ne potete leggere qualcosa sul sito di Rainews24 qui.

In Italia invece assistiamo ad una progressiva privatizzazione della Sanità, complice anche un sistema che permette alle amministrazioni regionali di usare il sistema sanitario come luogo di compensazioni politiche, elargizione di favori e creazione di clientelismi economici e politici. Un esempio "illuminante", per così dire, ci viene dalla Lombardia di Formigoni, dove regna sovrana CL e il suo sistema di potere: leggetevi a tal proposito il numero di luglio di Agenda Coscioni, mensile dell'associazione Luca Coscioni.

mercoledì 5 agosto 2009

Tu donna abortirai con dolore

I tempi cambiano, i vizi restano. Quelli del Vaticano, intendo.
La pillola Ru486, il cui protocollo d'uso è assolutamente prudente e attento alle eventuali controindicazioni, vuole ridurre la sofferenza fisica (ma anche psicologica) della donna che affronta un aborto. Eppure per il Vaticano non va bene, e si arriva a minacciare la scomunica per i medici che la somministrassero.

In sostanza, tu donna abortirai con dolore.

Non basta infatti il dolore e il trauma di arrivare a una decisione così grave, dopo la vogliamo anche far soffrire ancora un po', giusto per il gusto di farlo.

Vignetta di Sergio Staino da L'Unità del 1° agosto 2009
---

Per inciso a Gorizia si annunciano obiettori tutti gli ostetrici tranne uno: di fatto in questo modo l'obiezione, da diritto dell'operatore, finisce a ledere il diritto dell'utente/cittadino. Come risolvere questo conflitto di diritti/o?
Poiché compito del sistema sanitario è fornire il servizio sanitario al cittadino, ed è quindi questa un'attività essenziale per l'esistenza stessa della struttura sanitaria, è il diritto del cittadino ad avere priorità, anche perché risulterebbe altrimenti privato del proprio servizio il cittadino, e sarebbe quindi smentita la motivazione stessa per cui esiste un servizio sanitario.

sabato 1 agosto 2009

Chi educa oggi?

Dopo l'ordinanza del sindaco di Milano, Letizia Moratti, che proibisce la somministrazione di alcool ai minori di anni 16, ma punisce con una sanzione amministrativa (ovviamente a carico dei genitori) anche il minore che assume alcoolici, sembra che gli adolescenti lombardi si siano adeguati e le multe sono state comunque poco nonostante i numerosi controlli.

Il provvedimento è un esperimento interessante, in quanto restituisce in capo all'ambito familiare il compito educativo/normativo. Un compito largamente delegato al di fuori dell'ambito familiare negli ultimi anni, nella convinzione (di chi?) che non fosse quasi compito della famiglia educare, il che significa innanzitutto "normare" ovvero porre la distinzione tra bene e male, tra opportuno e inopportuno, ecc... E se per alcuni anni è forse riuscita la scuola a sobbarcarsi l'ingrato compito oggi ci troviamo in un limbo normativo, tra una scuola impossibilitata per mancanza di mezzi e personale a fare altro che garantire un istruzione "passabile", e famiglie che spesso ritengono proprio conto difendere il minore più che educarlo.

In questo contesto, un provvedimento che costringe la famiglia a fare i conti con i comportamenti devianti del minore (per quanto qui si stia parlando di comportamenti non certo gravi, almeno nella maggioranza dei casi), è benvenuto in quanto costringe le famiglie a riprendersi in mano una parte degli "oneri sociali" dell'educazione dei futuri cittadini.
Il tutto a beneficio della collettività.

sabato 11 luglio 2009

Marino e la questione dei circoli

Lo stupratore seriale di Roma era il coordinatore di un circolo del Pd. Per Marino c'è una "enorme questione morale" ma per Bersani "nemmeno il peggior nemico dice di noi queste cose!".
Al di là del fatto che l'uscita di Marino è stata in effetti inopportuna, e che è davvero impossibile riuscire a sapere prima chi può essere uno stupratore, sarebbe però opportuno aprire una parentesi, un vaso di pandora anzi. Come dice Marino "quali sono i criteri con cui vengono scelti i coordinatori?".
Ebbene, c'è sicuramente in molti casi la tendenza a scegliere "l'unico che voglia farlo", specie nei piccoli paesini, oppure persone inopportune ma che vengono scelte perché risultato di lunghissime mediazioni tra correnti e correntien. Insomma il problema della qualità dei dirigenti locali spesso c', e molto spesso sarebbe opportuno l'intervento di livelli superiori, perché l'autonomia federale dei vari livelli non può diventare alibi per lasciare i Circoli a se stessi.

Bè, per fortuna il mio circolo ha un ottimo segretario, ma il problema sollevato da Marino c'è, anche se non in riferimento al caso di Roma, per fortuna!

giovedì 9 luglio 2009

PressEurop

Presseurop.eu è un nuovo sito che raccoglie il meglio della stampa europea. E' un progetto europeo che, per la parte italiana, vede la partnership di Internazionale, il settimanale che da anni pubblica in Italia i migliori articoli della stampa mondiale, dandoci di noi e del mondo uno sguardo globale e spesso diverso ad quello a cui siamo abituati.

www.presseurop.eu/it

venerdì 3 luglio 2009

Perché si attacca la Corte


Il Palazzo della Consulta, sede della Corte Costituzionale


Confrontandole, la facilità con cui Di Pietro si scaglia contro il giudice della Corte Costituzionale che ha ammesso e difeso la propria scelta di invitare a cena Berlusconi, e la difficoltà o timidezza con cui il Pd prova a farlo, la differenza non si spiega.

Tuttavia, a spiegare il diverso atteggiamento è il timore da parte del Pd che l’attacco ad un esponente piuttosto imbarazzante della Consulta diventi un attacco all’istituzione in sè, una delegittimazione di un organo che ha comunque fortemente contribuito all’attuazione della Costituzione e alla sua difesa, anche contro Berlusconi. Dubito che così complesse considerazioni facciano parte delle valutazione di Di Pietro, non di meno condivido in toto le sue critiche al personaggio.

Che tuttavia attaccare la Costituzione possa rivelarsi un’arma a doppio taglio, è fin troppo palese: è quel che aspetta Berlusconi da anni, un’occasione per disfarsi di qualcosa che è per lui troppo super-partes, cioè troppo ossequioso all’esprit de la loi e troppo poco a lui stesso e allo spoil system. Fatto questo, non mancherebbe che mandare in pensione Napolitano e il gioco sarebbe fatto: il potere si concentrerebbe nel lìder maximo.

Ed è assolutamente interessante notare che così come Di Pietro si trova oggi ad attaccare la Corte, lo scorso anno attaccava Napolitano. Il gioco è evidente: delegittimare le due istituzioni di garanzia, ma fare in modo che a delegittimarle sia la stessa sinistra. Il Partito democratico è riuscito finora a sottrarsi all’inganno, mantenendo costante la propria caratteristica di principale forza schierata.

Per il Pd è comunque una delle tante situazioni in cui una posizione ragionevole e assolutamente responsabile si presta alle critiche perché ne risulta difficile da spiegare le motivazioni profonde. Questa volta tuttavia mi sento di dire che, vista la posta in palio, la nostra Costituzione, forse vale la pena di prendersi questo fardello.

domenica 21 giugno 2009

La crisi colpisce i più giovani

La crisi colpisce soprattutto i più giovani. I sindacati sembrano ignorare o quasi il problema. La politica generalmente anche. Tito Boeri colpisce nel segno...


MINISTRO MELONI BATTA UN COLPO!
di Tito Boeri e Pietro Garibaldi - 20 giugno 2009

Se con la recessione in giro per il mondo è un brutto momento per tutti, in Italia sembra essere un momento tragico più che altro per i giovani. La disoccupazione giovanile è aumentata dal 18 al 25 per cento e circa 400 mila precari, quasi tutti giovani, hanno perso un lavoro nel primo trimestre del 2009 rispetto al primo trimestre del 2008. La rilevazione trimestrale delle forze lavoro sembra un vero bollettino di guerra per i lavoratori atipici: sono andati distrutti 150 mila lavori a termine, 100 mila collaboratori e 150 mila lavoratori autonomi, tra i quali vi sono diverse partite IVA “parasubordinate” che forniscono le loro prestazioni a un solo committente. Il lavoro a tempo indeterminato, protetto dalla cassa integrazione, è invece aumentato. Se non fosse grazie all’occupazione straniera, che ha registrato una nuova crescita, l’occupazione italiana sarebbe addirittura diminuita di 426 mila unità. Dei 400 mila lavoratori precari che hanno perso lavoro, al massimo uno su tre ha accesso al sussidio di disoccupazione ordinario. Questi giovani sono stati beffati due volte. Hanno avuto un lavoro decisamente meno protetto di quello dei loro padri e, una volta disoccupati, vengono completamente abbandonati dallo Stato. In modo quasi provocatorio, il Ministro Sacconi ha ieri annunciato di voler creare un bonus da destinare a quelle imprese che assumono lavoratori in cassa integrazione. Come se i 400 mila precari neodisoccupati non esistessero e non fossero il vero problema emerso dalla rilevazione trimestrale dell’Istat. Sindacati e Confindustria annuiscono. Giorgia Meloni, titolare del dicastero per i giovani, almeno lei batta un colpo!

mercoledì 3 giugno 2009

Un appello per il voto

Si avvicina la data fatidica delle Elezioni Europee.
Paul Nyrup Rasmussen, presidente del PSE (socialisti europei) ha lanciato un appello per il voto.


Può anche sembrare paradossale, ma votare PSE significa in Italia votare Partito democratico.
Innanzitutto perché è la grande forza riformista e alternativa alla destra che trova riscontro negli altri grandi partiti riformisti europei. E in secondo luogo perché, e questo, appunto, può sembrare paradossale rispetto ai tentennamenti dei mesi scorsi, è oggi l'unica forza politica di cui siamo certi che andrà a formare un unico gruppo assieme ai Socialisti europei: SPD, socialisti francesi, scandinavi, socialisti spagnoli e laburisti inglesi.
E... beh, solo un grande partito, radicato e con valide e numerose risorse può fermare la destra!

lunedì 18 maggio 2009

Europee

Mi sono accorto che è iniziata la campagna per le Europee dal fatto che il mio tempo libero si è ridotto... e di molto!


martedì 5 maggio 2009

Una battaglia da vincere

Alessandro Maran* in un suo recente post sul suo blog, afferma che quella del Pd contro la destra e il Pdl in particolare è una battaglia soprattutto culturale, e al momento vede il Pd sconfitto.
Non posso che essere d'accordo. Il problema è che tanti, troppi, nel Pd e nel centrosinistra in generale, spesso gli stessi che si nascondono dietro l'aura del "moderato" sostengono che invece il centrosinistra debba essere semplicemente "più vicino alla gente", più pragmatico. Me ne vengono in mente tanti di esempi, come se la politica si riducesse al contingente e rinunciasse ai grandi disegni, all'analisi di ciç che è e ciò che dovrebbe meglio essere, lasciando alla destra il compito di dettare l'agenda culturale del Paese. Mi vengono in mente poi altri, provenienti da culture della sinistra marxista storica, e oggi impegnati ad affermare la scomparsa delle ideologie e la necessità di una sinistra "pragmatica", che di fatto non si differenia molto dalla destra (uno su tutti? Chiamparino).
Però il problema è alla radice: in una cultura politica e sociale che privilegia l'atomismo e l'individualismo a-sociale, ovvero anzi antagonista della società in quanto disegna i comportamenti eticamente responsabili: "E' giusto evadere le tasse!" "Con la mafia bisogna convivere".
* Alessandro Maran è capogruppo Pd in Commissione Esteri alla Camera

domenica 3 maggio 2009

Un articolo di Mario Margiocco sul Sole 24 Ore di un paio di settimane fa ("Non a tutti piace Wall-shington"), mi dà alcuni spunti interessanti.

Il premio Nobel Paul Krugman è stato tra i primi a criticare l'amministrazione Obama per l'approccio con cui stava affrontando la crisi economica globale. L'approccio statunitense è, in effetti, piuttosto semplice: eliminare i crediti "tossici", inesigibili, dal settore creditizio, depurare in questo modo il mercato bancario per permettere di far ripartire il meccanismo del credito, che ha bloccato i consumi delle famiglie, la produzione delle imprese e l'economia reale. Per fare ciò, decine di miliardi di dollari sono stati versati nelle casse delle grandi banche private americane.

Si tratta di un approccio che richiede uno sforzo enorme alle casse pubbliche e sembra quasi un "premio" alla grande finanza. Eppure la crisi del '29 fu aggravata proprio dal blocco del meccanismo del credito e dalla lentezza con cui venne affrontato il problema: Roosevelt adottò nel 1933 un approccio simile.

Eppure, ci sono anche delle differenze. In primo luogo Roosevelt accettò di selezionare quali banche dovevano sopravvivere e quali no. In questo modo venne introdotto un meccanismo di "regolazione" ex-post dell'economia, attraverso la discrezione del Tesoro nel decidere quali banche salvare e quali lasciar fallire. Obama, per ora, ha deciso di salvarle tutte.

In secondo luogo c'è una differenza importante: Obama ha lasciato anche che la Sec (la Consob americana) approvasse delle norme contabili che permettendo alle banche di edecidere autonomamente il valore delle passività inesigibili, ha fatto sì che oggi diverse grandi banche USA mostrino già conti rosei!

Infine, forse Roosevelt non aveva come ministro del tesoro un ex CEO di Citigroup.
Qualche dubbio è dunque lecito averlo, staremo a vedere come andrà.

sabato 25 aprile 2009

Le banche sono meglio se piccole

Oggi si è votato per eleggere le cariche sociali della Popolari di Milano: l'assemblea più affollata del mondo, la definisce l'articolo su Repubblica di Giorgio Lonardi, con 10.000 soci iscritti al voto.

Al di là di casi, macroscopici, come quello della Popolari di Milano (Bpm) coinvolta dalla crisi che sta attraversando Banca Italease, coinvolta nel crollo del mercato ipotecario, o di vicende come quella della Popolare di Lodi di Fiorani, le banche popolari stanno vivendo oggi una nuova vita, meno coinvolte delle banche più grandi nella crisi della finanza globale, con un patrimonio di rapporti con il cliente che garantisce loro una solida base di sviluppo e una difesa rispetto agli andamenti ciclici del mercato. E così è anche per le piccole Banche di credito cooperativo (piccole in Italia: in Germania costituiscono circa il 19% della raccolta bancaria).

Il minore impatto della crisi finanziaria in Italia è quindi essenzialmente dovuto al ruolo importante che banche locali e medio-piccole vi giocano: quello che ci è stato detto essere un fattore di svantaggio per l'Italia si rivela oggi un vantaggio.

Paradossalmente, ci troviamo oggi a dover rivalutare anche l'operato del predecessore di Draghi alla guida della Banca d'Italia: al di là infatti dei comportamenti poco limpidi che hanno contraddistinto il suo governatorato di Bankitalia, Antonio Fazio operò una politica di guida delle concentrazioni bancarie italiane che ha permesso di mantenere in mani essenzialmente italiane il controllo del mercato creditizio, consentendo in questo modo: 1) di evitare che, in assenza di grandi industrie nazionali, le banche straniere controllassero di fatto il panorama industriale nazionale; 2) facendo modo che permanessero diverse banche su scala nazionale non globalizzate, caratterizzate da solida base di clienti e raccolta di depositi, e meno sensibili ai rischi del mercato finanziario.

Come molti dicono in queste settimane (ma perché tacevano fino a ieri?) è forse giunto il momento di una svolta nel capitalismo come lo conosciamo oggi.
Forse dovremo iniziare dal credito...

mercoledì 22 aprile 2009

Perché laico

Non posso che essere d'accordo con l'articolo di Franco Monaco che su Europa dell'11 aprile scorso (l'articolo si intitola "Perché il Pd non può essere la casa dei teodem" ma è interessante al di là del caso specifico). Vi invito a leggerlo. Per Monaco i teodem sono fuori casa nel Pd perché si sottraggono all'obbligo di "un'adesione anche etica e coscienziale" ai principi-guida di quel partito, perché hanno fatto proprio un "appello sistematico alla coscienza che surroghi il dovere di elaborare e poi difendere mediazioni politiche delle quali ci si assume una collettiva responsabilità. Come altrimenti si costruisce un partito politico degno di questo nome?"

Sono d'accordo, e mi verrebbe da dire che anche a livelli ben più locali c'è chi dovrebbe ascoltare queste sagge parole, ma soprattutto è qui che è il fondamento del fare politica: unirsi, mediare, trovare una soluzione condivisa sulla base di principi ispiratori condivisi, anche se magari si parte da idee diverse in quanto alla "applicazione" di tali principi, facendo fronte comune rispetto a impostazioni di pensiero, o minacce reali, completamente contrarie ai nostri principi: "A un partito si aderisce con motivazioni forti, cioè se e in quanto ci si riconosce nel patto posto a presidio di valori che si ritiene possano essere difesi di più e meglio insieme che non in solitudine".


Il fatto che i teodem poi abbiano avuto un peso nel Pd assolutamente sproporzionato, e che loro stessi abbiano lucrato sull'equivoco per cui essi sarebbero stati rappresentanti dell'opinione della gerarchia ecclesiastica, e unici rappresentani dei "cattolici", mi fa venire in mente quanto recentemente sottolineava Stefano Rodotà, illustre pensatore laico che ha dato alle stampe recentemente "Perché laico" per i tipi di Laterza. Per Rodotà è stato un Pd privo di identità a ricercare un rapporto privilegiato con le élites del paese in quanto avulso dalla realtà sociale, per cui un partito elitario e distaccato dalla società reale ha trovato naturale dialogare con le gerarchia ecclesiastiche ignorando tutto un popolo cattolico, una base cattolica molto più avanzata delle sue gerarchie (le quali a mio avviso hanno fatto una scelta politica reazionaria dalla quale molto difficilmente e solo molto lentamente potranno tornare indietro). E' un'analisi condivisibile, perché interpreta efficacemente diversi atti del nascente Pd del 2007-2008, come le candidature di Calearo, Colaninno: piuttosto che candidare l'artigiano veneto si candida il famoso industriale, alla necessità di elaborare una proposta politica, di fronte all'incapacità di farlo, si sostituisce la candidatura illustre, che tuttavia non risolve il problema.

Credo che oggi le cose stiano cambiando, ma il monito resta e spero sia efficace.


Stefano Rodotà
Perché laico
Laterza, 2009
pp. 193

lunedì 20 aprile 2009

GPF 2009

Con incredibile ritardo aggiorno il blog.

E' stato un mese intenso, ma pieno di stimoli. Sul fronte italiano, è partita la campagne per le Europee: Debora Serracchiani è stata a Gorizia lo scorso 16 aprile, la sala del Kulturni Dom era piena (e prossimamente metterò online le foto).

Io ho iniziato bene la mia primavera europea: dal 2 al 4 aprile ero a Bruxelles per partecipare al Global Progressive Forum, un'assise di conferenze e dibattiti organizzata dalla Global Progressive Fundation con il supporto del PSE e che ha visto la presenza di relatori del calibro di Bill Clinton (sì, proprio lui!), Rasmussen, Josep Borrell, Lionel Jospin, Howard Dean, Pascal Lamy (WTO), Piero Fassino.

C'è stato l'intermezzo di una chiacchierata con Fassino, e un rapido incontro con Franceschini, ma soprattutto tanti stimoli che ti fanno pensare che il livello del dibattito politico in giro per l'Europa sia parecchio più alto di quello nostrano. E soprattutto, c'è chi non si vergogna di definirsi progressista (l'ha fatto anche Franceschini, annunciando che il Pd formerà uno stesso gruppo nel parlamento europeo assieme agli altri partiti socialisti, democratici e progressisti europei), di dire che non è giusto scaricare sulla collettività il costo degli errori della finanza (Borrell), di citare Gramsci (un po' tutti, compresi molti Democrats americani... il che mi ha fatto sentire un tantinello ignorante...).

Abbiamo davvero tanto da imparare...!

martedì 7 aprile 2009

Sul friulano...

Oggi ho mandato a Sconfinare, il bimestrale degli studenti del corso in Scienze internazionali e diplomatiche, la seguente lettera, che è una risposta all'articolo di Francesco Scatigna, comparso a febbraio e dal titolo volutamente provocatorio "Il friulano non è una lingua".
Che ne pensate?


Caro Francesco,

ho avuto modo di leggere, con l’uscita degli ultimi numeri di “
Sconfinare”, prima il tuo articolo dal titolo provocatorio “Il Friulano non è una lingua
” sul numero di febbraio 2009, poi più di recente la replica al vetriolo di Giovanni Bernardis sul numero di aprile.
Non mi voglio dilungare sulla disquisizione sul fatto che il friulano, e qualunque altro idioma, sia o meno una lingua piuttosto che un dialetto: una disquisizione tanto annosa quanto inutile, essendo talmente labile e indeterminata, anche tra i linguisti, la separazione tra i due termini, e la definizione degli stessi, che ogni dibattito in materia risulta una semplice perdita tempo. Non dovrebbe servire far notare che spesso a stabilire se un’idioma avesse diritto al rango “legale” di “lingua” sono state guerre, cambiamenti nell’importanza economica di una regione e altri eventi storici di maggiore o minore durata nel tempo. (Quindi, a differenza di quanto tu affermi quasi in conclusione del tuo articolo, la distinzione tra lingua e dialetto è molto più fondata sul piano politico che sul piano linguistico).
Quel che conta, semmai, è l’autoidentificazione da parte di un dato gruppo di persone, chiamiamolo “popolo” se vuoi ma diciamo piuttosto un dato gruppo etnico. L’identità di un gruppo etnico ha varie basi: talvolta religiose, talvolta territoriali, talvolta appunto linguistiche. Più spesso un insieme di tutte queste cose.
Accade spesso che un gruppo etnico trovi nella lingua un forte elemento di autoidentificazione e distinzione (è il caso dei catalani, ad esempio, o dei ladini), altre volte è la religione (è il caso degli ebrei). Nel caso dei friulani, l’elemento linguistico è sicuramente predominante (certamente, anche qui, alla formazione di quest’identità concorrono tanti altri fattori, ma l’elemento distintivo nell’autopercezione degli stessi è la lingua: è friulano chi sa parlare o almeno capire il friulano). Quanto a ciò che sta alla base di tale autopercezione, che possa essere più o meno futile, più o meno storicamente fondato, non sta a nessun altro stabilirlo e giudicarlo in quanto si tratta appunto dell’autopercezione, dell’immagine che un popolo ha di se stesso. Immagino sia questo che intendi quando parli di “
questa ritenuta unicità [...] che ha spinto su questo aspetto (buono in partenza) così importante per la comunità
”.

Se questa è la situazione, risultano quanto mai difficili da comprendere, almeno su un piano razionale, talune tue osservazioni.
Innanzitutto, affermi che la tradizione è importante finché “
non diventa prevaricazione nei confronti del vicino”. In primo luogo, risulta poco comprensibile a cosa tu ti riferisca. Immagino che vedere la segnaletica stradale di alcune parti del Friuli riportare “Vignesie” accanto a “Venezia” possa suscitare confusione (in specie nei turisti: e per questo sarei d’accordo a togliere questi cartelli bilingui che rischiano di far impazzire il turista), ma non vedo come possano suscitare una qualche forma di “prevaricazione
”. Per quanto riguarda l’uso del friulano nelle scuole, per come la proposta era stata fatta (l’uso in forma veicolare quando tutti fossero stati d’accordo, o in un’altra formulazione, quando nessuno si fosse opposto) era tale, anche qui, da non prevaricare nessuno. Quindi sul piano concreto i rilievi non sussistono. Se si tiene poi conto che le ore di friulano non erano tolte a nessun’altra materia, non si vede nemmeno dove sia l’arroccamento culturale di cui parli.

Resta quindi solo da capire perché porre un diniego rispetto ad un’istanza di riconoscimento da parte di un’etnia di un elemento distintivo della propria cultura, considerato che non prevarica nessuno, non fa male a nessuno. Sarà che per formazione guardo a queste questioni con un’ottica liberale, ma così stando le cose mi posso solo porre, e credo che la politica debba sempre solo porsi la domanda “
C’è un valido motivo (razionale) per dire NO?
”. Personalmente non ne vedo.

Detto questo, mi permetto due ultime annotazioni.
In primo luogo, fai riferimento in maniera un po’ approssimativa all’uniformazione che ha subito il friulano negli ultimi anni. Nello specifico, ad essere stata uniformata per ragioni didattiche e ortografiche è la grafia e la grammatica del friulano scritto. Poi ognuno può pronunciare la parola scritta nel modo previsto dalla propria variante locale del friulano. La maggiore o minore variabilità di una lingua al suo interno è del resto dipendente da varie condizioni: nel caso friulano una certa variabilità potrà esser stata causata dalla scarsa mobilità geografica della popolazione contadina, dalle contaminazioni delle aree confinarie con idiomi contigui, o dall’isolamento geografico delle vallate alpine e prealpine.
In secondo luogo, ritengo che la politica abbia la funzione, in una democrazia, di far proprie e veicolare nelle istituzioni rappresentative le istanze della società. Mi trovo quindi difficilmente d’accordo quando affermi che del friulano “
si devono occupare i linguisti, gli studiosi di etnoantropologia, anche i sociologi. Comunque, gli studiosi. Non i politici” perché innanzitutto se emerge un’istanza dalla società, la politica se ne deve occupare, in un modo o nell’altro, altrimenti significa che la democrazia non funziona; e in infine perché se una lingua è viva e vissuta, essa è viva nella società delle persone, nella polis dunque, e non vive solo negli studi e nei simposi di linguisti e antropologi.

domenica 5 aprile 2009

Se è finito il tempo delle "modifiche di dettaglio"


Fioroni, leader della corrente popolare all'interno del Pd, ha criticato la scelta di Franceschini (in foto), segretario nazionale del Partito democratico, di scendere in piazza con la CGIL nella manifestazione contro il governo: "è finito il tempo del collateralismo tra politica e sindacati" (Il Messaggero di oggi). Ha certamente ragione a criticare Bersani che chiedeva l'adesione formale del Pd alla piattaforma della CGIL: un partito di massa, che ambisce a rappresetnare l'interezza o quasi della società, deve mantenere una necessaria autonomia politica rispetto ai sindacati che sono comunque organizzazioni corporative. Tanto più che oggi è ormai difficile individuare classi ben determinate, vi è stata da ormai qualche decennio una polverizzazione delle strutture e appartenenze sociali per cui il sindacato rappresenta comunque una parte, importante, ma solo parte della società, del ceto medio, del mondo del lavoro.

Dunque bene Franceschini.



Ma è di altro che volevo parlare. Fioroni sostiene che, a riguardo dell'accordo tra CISL e UIL e governo per la riforma della contrattazione collettiva: "E' sbagliato il rifiuto della CGIL perché in quell'accordo c'è tanta parte delle nostre proposte, delle proposte del Pd".

"Tanta parte"?

Ecco, qui è il nocciolo del problema. Che obiettivo ci poniamo? Correggere le politiche del centrodestra? O proporre politiche alternative?

Ovvio che ci siano anche alcune cose che abbiamo proposto noi, ma l'impianto complessivo non è quello che vuole il Pd, l'impianto complessivo contribuisce a ridurre il potere contrattuale del lavoratore in un periodo in cui, l'ha confermato recentemente il Censis, le retribuzioni dei lavoratori dipendenti sono cresciute sempre meno dell'inflazione reale dal 2001 ad oggi (guarda caso nel 2001 andò al governo Berlusconi).

Ecco allora che i correttivi non ci bastano. Non possiamo accontentarci di non protestare rispetto ad una riforma della contrattazione solo perché dentro c'è qualche cosa che avremmo proposto noi. E il resto, che non avremmo mai proposto?

domenica 29 marzo 2009

Lavorare di più

Per Berlusconi i disoccupati dovrebbero rimboccarsi le maniche e lavorare di più. Eh già, questa masnada di sfaticati non deve certo lamentarsi, lavoro ce n'è in abbondanza!

Al di là della battute, comunque deprecabili, le affermazioni del neopresidente del Pdl confermano però una tendenza che negli ultimi anni opinionisti ed economisti hanno cercato di inculcare in tutti noi: bisogna lavorare di più!

Certo, in un momento in cui la disoccupazione cresce e il lavoro non c'è, è un'affermazione paradossale, ma merita un po' di attenzione capire cosa c'è sotto a questa affermazione che sentiamo ripetere ormai da alcuni anni.

Lavorare di più, certamente, è un modo come un altro per incrementare la ricchezza nazionale. Se come Adam Smith ci insegna, il prodotto è dato da lavoro + capitale, allora se aumentiamo il lavoro aumenteremo anche la produzione.

Ma generalmente lavorare di più è stato inteso come un modo per chiedere ai lavoratori di fare meno ferie, di fare straordinari pagandoli come ordinari, di lavorare più a lungo, di lavorare più ore con lo stesso stpendio di prima e così via. Il tutto per perseguire quella chimera chiamata produttività.

Sullo stesso filone si collocano le affermazioni in base alle quali le retribuzioni dovrebbero essere collegate all'andamento della produttività dell'azienda. A parte il fatto che il profitto dell'azienda non necessariamente collima con la produttività del lavoro (e non sarebbe male chiarire a quale delle due cose ci si riferisce, cosa che probabilmente riserverebbe inquietanti sorprese), va detto che le implicazioni di queste politiche non vengono mai messe molto in chiaro.


Innanzitutto, l'accento sulla necessità di lavorare di più è uno spot, che nasconde l'esigenza di incrementare il lavoro mantenendo costante però il costo del lavoro. Perché per aumentare il lavoro in sè, le politiche da fare sarebbero ad esempio quelle che mirano all'incremento del part-time e dell'occupazione femminile, quelle che favoriscono l'incontro tra domanda e offerta di lavoro e, rendendo il mercato del lavoro più "liquido", riducono la disoccupazione "istituzionale" legata al cattivo funzionamento del mercato del lavoro, per non parlare di politiche che mirino ad avvicinare il sistema della formazione alle effettive necessità del mercato del lavoro (perché continuano a scarseggiare gli ingegneri mentre abbondiamo di laureati disoccupati?).

Invece chiedere che si facciano più straordinari ma pagandoli meno, detassare gli straordinari per incentivarne, di fatto, l'utilizzo da parte delle imprese (misura presa la scorsa estate dal governo Berlusconi), ridurre le ferie o le festività, sono misure che mirano a incrementare il contenuto di lavoro e la produzione piuttosto che il contenuto in capitale. Ovvero sono misure tipiche di un'economia incapace di innovare o di reperire capitali. Certo, è fin troppo evidente che si tratta di una definizione che calza a pennello con l'Italia.


Per quanto riguarda poi, il legame tra produttività e salari, è fin troppo evidente il pericoloso ricatto a cui si espongono i lavoratori in questo modo, di fatto costretti a condividere con l'imprenditore il rischio d'impresa: ma la differenza tra salariato e imprenditore non stava proprio qui? Il possesso del profitto aziendale non dovrebbe essere il premio per il rischio d'impresa? In caso di profitto, il premio per il lavoratore dove sarebbe?

Resta però certo e giusto un altro aspetto: il legame favorirebbe la giusta allocazione delle risorse economiche tra i vari settori produttivi. Se i salari crescono maggiormente in un settore che è in rapido sviluppo, con una crescente produttività, la maggior parte dell persone cercherà di lavorare in quel settore, che quindi avrà maggiore disponibilità di lavoro, ci saranno più laureati in quel settore piuttosto che in altri, e verrà favorito lo sviluppo dell'economia nei settori che danno maggiori chance per il futuro.


Ma ecco allroa che questa sì, sarebbe una competizione salariale virtuosa, che premia con il salario l'innovazione e il rischio, non una competizione tra poveri per un tozzo di pane.

C'è modo e modo di lavorare di più, insomma.

martedì 24 marzo 2009

I preservativi fanno bene alla libertà di stampa

Condivido l'osservazione che ho trovato alcuni giorni fa su l'Unità: è vero infatti che la lotta all'AIDS non si combatte solo con i preservativi. Molto più importante è la diffusione di comportamenti sanitari, igienici e sessuali che evitino il contagio e siano maggiormente responsabili. Certo è che i preservativi comunque aiutano.
Non condivido invece, quando il segretario di stato vaticano sostiene che il Vaticano non accetterà ulteriori critiche alle parole del papa. Cosa vuol dire? Che la stampa non deve permettersi di criticare il papa?
In altri termini è un intimidazione? Un invito alla stampa a censurare i critici del papa? La libertà di opinione è ancora possibile o dopo le ronde il prossimo provvedimento sarà le reintroduzione del rogo per chi non abiura?

martedì 10 marzo 2009

Keynes, il credito, le imprese, la crisi

La crisi economica che ha colpito le economie più sviluppate negli ultimi mesi ha riportato in auge la politica economica keynesiana. I piani di molti governi mirano a realizzare delle politiche anticicliche che riducano l'impatto della crisi finanziaria sull'economia reale.

Keynesianamente parlando, però, l'effetto sulla crescita di maggiore spesa pubblica o minori tasse non è equivalente. Ogni punto percentuale di PIL di minori tasse produce infatti una maggiore crescita pari allo 0,5% del PIL. Ogni punto di PIL di maggiore spesa pubblica produce invece ben 2% di crescita del PIL. Pur tuttavia bisogna considerare che la spesa pubblica non è indolore: fa aumentare i tassi d'interesse e "spiazza" gli investimenti privati rischiando di deprimere, sul lungo periodo, la crescita.

Come in ogni cosa, è questione di equilibrio.

Il problema principale, però, è che se l'ingranaggio del credito non ricomincia a funzionare, l'economia non riprenderà a marciare: questo è tanto più vero per quelle economie basate su piccole e piccolissime imprese che sono fortemente dipendenti dal credito bancario in quanto troppo piccole per avere una propria autonomia finanziaria.

Ecco perché la crisi economica in Italia sarà probabilmente più grave, e non meno, che in altre economie europee dove invece è stato maggiore l'impatto della crisi finanziaria. Per non dimenticare che in Italia la spesa pubblica è già molto alta e i margini d'intervento "keynesiani" assai ridotti.

domenica 8 marzo 2009

Tu donna lavorerai fino a 65 anni

Il governo sostiene la necessità di innalzare a 65 anni l'età di pensionamento per le donne. Eppure nel nostro paese mancano i servizi compensativi che permettono di sgravare le donne dal dovere di occuparsi di marito, figli, e parenti vari. Perdura una visione patriarcale nella ripartizione dei doveri familiari, ma le esigenze di bilancio pubblico sono comuni a quelle di altri paesi europei.

Si intende risparmiare dall'innalzamento dell'età di pensionamento per le donne, ma il raggiungimento di una piena parità tra uomo e donna anche nella sfera dei doveri domestici, al fine di permettere alle donne di liberare energie per la propria realizzazione personale, anche a vantaggio della società (in termini di creatività inespresse, energie che si liberano e così via), richiederebbe più risorse anziché dei risparmi.


Servirebbero più asili nido, tempo prolungato e tempo pieno nelle scuole primarie, più doposcuola, e così via.

Dov'è tutto questo? Non si sa, ma intanto, tu donna partorirai con dolore e lavorerai fino a 65 anni.

mercoledì 25 febbraio 2009

Quando Silvio ti candida Mastella

Se Berlusconi candida Mastella alle Europee non è perché è impazzito ma perché risponde a una sottile logica.
Il PDL è oggi un po' il papà, e la mamma, degli italiani. Ci trovate di tutto: dall'intellettuale di destra al cantante buttatosi in politica, dal neofascista reazionario al cattolico devoto. Ex socialisti alla Brunetta, ma anche brunette di ogni tipo. Ex democristiani e anche inquisiti.
Il PDL piace non solo perché c'è Berlusconi, ma perché rappresenta un vasto blocco sociale, un vasto segmento di interessi, e propone alcuni sani ingredienti di populismo, il tutto condito da una sovrastruttura che attraverso il richiamo ai "valori" e all'anticomunismo riesce a intercettare e "ammaliare" ampie parti della società.
Ma perché allora Mastella?
Semplice, perché Mastella è anche lui un leader capace di ammaliare, nel suo piccolo, l'elettorato, aggregando attorno a sè un insieme esteso di interessi. Che poi il suo "campo di battaglia" sia nei fatti limitato al Sud e alla Campania, con qualche sconfinamento tra Basilicata e Calabria, poco importa.
Con un Pd in crisi e una crisi economica sempre peggiore, Berlusconi non può certo permettersi, già dovendo fare i conti con la Lega Nord, che al sud nasca una "Lega Sud" che gli faccia concorrenza.
Una cadrega pronta per Mastella, e il problema è risolto. Tanto militanti ed elettori del PDL più di tanto non osano protestare, perché comunque il proprietario del partito è lui.

sabato 21 febbraio 2009

10 oligarchi

Questa settimana ho avuto tempo per pensare.

Al Partito democratico ho dedicato, in un anno e mezzo, molto, moltissimo e forse troppo tempo e troppe energie. Un partito che si è rivelato dilaniato visceralmente da contrasti tra opposte fazioni che volevano piantare le bandierine, da gruppuscoli che hanno visto nel Pd la possibilità di vendicarsi di torti subiti.

Basso e per nulla innovativo è stato il livello dell'analisi politica sul motivo per cui la sinistra italiana è sempre minoranza: nel 1996 l'Ulivo vinse perché la Lega non era alleata al resto del centrodestra.

E ho deciso che parlerò solo di "sinistra". Anche qui, basta dover dire "centrosinistra" per non urtare delle altrui "sensibilità". Basta perché quello che chiamiamo centrosinistra il resto del mondo lo chiama sinistra, riformista, moderata, quello che volete, ma sempre sinistra perché c'è una destra e una sinistra. C'è destra e c'è sinistra perché ci sono le forze delal conservazione, non necessariamente reazionarie e autoritarie, ma sempre conservatrici perché non ritengono che nella società di ci sia alcunché da cambiare ma semmai una situazione da ben amministrare. E c'è una sinistra perché ci sono delle forze progressiste che, per tutto il rispetto che si può dare a una forza avversa che tuttavia ben amministra, si pone però il problema di come cambiare in meglio la società.

La funzione sociale e storica della sinistra è proprio per questo: individuare le debolezze e le cose che non vanno nella situazione attuale e lottare per migliorarla.

In questi giorni ho letto molto su quanto a Roma avveniva tra i vertici nazionale del Pd. Rispetto la decisione di Veltroni, lo ammiro anzi per aver voluto coraggiosamente porre il Pd davanti ad un trauma che forse lo aiuterà a riprendersi. Temo tuttavia per la fine di un progetto politico nel quale credo, ma che è stato realizzato male. Mi ha fatto schifo leggere le dichiarazioni dei vari "oligarchi" nazionali, tutti pronti a dire che "la rappresentazione di un Pd dominato da 10 oligarchi è francamente eccessiva": i vari Finocchiaro, D'Alema, Castagnetti, Rutelli, Fassino, Marini, tutti pronti a evitare che sia addebiti a loro la colpa della crisi del Pd. Perché sicuramente la colpa è altrui, magari dell'altra corrente, magari degli ex-DL o degli ex-DS. La colpa è sempre di qualcun altro, e soprattutto del "mancato radicamento territoriale".

Eh no!

Il radicamento c'è! Ci sono migliaia di circoli, ci sono tanti militanti e simaptizzanti, che se non si iscrivono è perché pretendono, prima di iscriversi, che si decida se gli europarlamentari eletti siederanno nei banchi del Pse o da qualche altra parte, che si decide se il Pd è contro o a favore del etstamento biologico, che si decida qualunque cosa ma qualcosa si decida. La scusa del radicamento viene propinata da 2 anni per non ammettere che il problema, in realtà, sono i vertici.

E' un'intero gruppo dirigente, un'intera generazione io credo, ad aver fallito. Non è possibile che ancora oggi i "capi" siano, da una parte vecchi dirigenti del Pci che erano parte della segreteria di Berlinguer negli anni Ottanta, dall'altra i dirigenti degli ultimi della Dc, siano Follini o Castagnetti, Marini o Bindi.

L'unica cosa intelligente che ho letto questi giorni è la proposta di Manciulli, segretario regionale della Toscana, di avere come segretario nazionale Martina, 29enne, segretario regionale lombardo.

Dico che è un'intera generazione ad aver fallito perché non è ammissibile che si debba ancora sentire, è accaduto anche a me nel mio circolo, 60enni e 70enni dire che il Pd nasce dalla fusioen delle culture della Dc e del Pci. No! Non può e non deve essere così, perché il Pd è nato per i 20enni e 30enni di oggi, chi come me aveva 8 anni all'epoca della Bolognina, chi come me della Dc e del Psi si ricorda tangentopoli e lo stato sull'orlo del crack. I vari De Gasperi e Togliatti lasciamoli pure dove sono, che probabilmente oggi vomiterebbero a vedere come si comportano i loro "eredi".

E intanto oggi, a quanto pare, sarà eletto segretario ad interim Franceschini. Non mi è piaciuto il modo in cui si èarrivati a tale soluzione, il solito accordo tra i "dieci oligarchi". Ho letto comunque il suo intervento di oggi all'Assemblea nazionale, mi è piaciuto abbastanza anche se non elimina delle ambiguità, ma gli dò tempo di prendere delle posizioni precise su determinati temi. In passato mi è piaciuto per l'equilibrio e lo spirito di andare oltre gli schemi per cui Caio è un diessino e Tizio è un margheritino. Se ragionassi con il modo in cui tanti ragionano, dovrei oppormi a lui perché non era iscritto ai Ds come lo ero io (per due anni appena: a ottobre sarà più lunga la mia militanza nel Pd che quella dei Ds, quindi per cortesia basta chiamarmi "ex-qualcosa"!): ma non è mio compito perpetuare la carriera di qualche dirigente nazionale.

Si premi invece il merito.

Ora ci prova Franceschini (se viene eletto... in questo momento sono in corso le votazioni mi pare): se ci riesce a risolllevare il Pd (non a vincere le elezioni: per questo diamo tempo al tempo, giustamente non possiamo continuare a bruciare i leader in 12 mesi!), se ci riesce bene, sia ricofnermato segretario a ottobre, se non ce la farà, se il Pd si sfascerà o lui non saprà contenere gli scontri interni, vorrà dire che l'ultimo atto dei "10 oligarchi" sarà stato, ancora una volte, un grande fallimento.

domenica 8 febbraio 2009

Perché oggi manifestavo

Oggi manifestavo a Udine davanti alla Prefettura assieme ad un gruppo di Giovani Democratici della provincia di Udine.

Perché manifestavo?


Manifestavamo perché un governo eletto democraticamente oggi vuole imporre per decreto una scelta che dovrebbe riguardare esclusivamente le persone che in quella vicenda sono coinvolte. Nessuno può sapere né giudicare il dolore di una persona e di una famiglia, nessuno può legittimamente utilizzare una vicenda umana, come quella di Eluana Englaro, per propri fini politici.


Berlusconi in questi ultimi giorni ha sottoposto le istituzioni repubblicane ad un forte e serio attacco, ha minacciato di modificare la Costituzione per eliminare la possibilità che il Capo dello Stato vigili sulla Costituzione; ha dichiarato che Beppino Englaro non è in grado di giudicare perché stressato e che comunque non ha da lamentarsi perché in questi anni "hanno fatto tutto le suore", e avanti così.


Parole disgustose, ma anche un attacco alla democrazia senza precedenti.
Oggi manifestavo perché la democrazia e la libertà non si difendono da sole, ma vanno costruite giorno per giorno, con l'impegno di ognuno di noi. Troppo spesso invece ci sono sfuggite perché abbiamo creduto che non servisse che le difendessimo e coltivassimo con le nostre azioni.

venerdì 6 febbraio 2009

Che schifo mi fa Berlusconi

Non nascondo di trovare assolutamente riprovevoli le parole di Berlusconi rispetto alla vicenda di Eluana Englaro.
  1. minaccia uno scontro senza precedenti con il Presidente della Repubblica, che ha chiarito di non controfirmare un decreto assolutamente incostituzionale;
  2. afferma che Eluana "potrebbe anche avere un figlio"... e come? facendosi violentare per caso? del resto sappiamo come la pensi Berlusconi in materia... basta mettere un militare vicino ogni bella donna no?
  3. addirittura pretende (e ottiene!) che il Senato si riunisca d'emergenza e che una legge venga votata entro 2-3 giorni... e minaccia addirittura di modificare la Costituzione se Napolitano non si piegherà ai dettami del governo...

Io lo chiamo Regime. Fate voi...

mercoledì 4 febbraio 2009

MT in edicola!

Da gennaio è in edicola in provincia di Gorizia il nuovo periodico MT, Monfalcone Territorio.
Non dico altro, e lascio parlare la redazione di MT:

Questo giornale nasce per parlare, discutere e far discutere sui problemi reali della nostra città e di tutto il suo territorio mandamentale verso il quale abbiamo grandi responsabilità.
Questo giornale nasce per parlare della nuova Monfalcone e anche dei suoi nuovi abitanti, di cosa sa esprimere questa città, anche delle cose belle che vi succedono.
Vogliamo essere un giornale aperto per una città aperta, rinnovata, ottimista nonostante tutto.



Potete anche visitare il sito cliccando qui.

sabato 31 gennaio 2009

Due programmi a confronto per la giovanile del Pd

Questo pomeriggio sarò a Udine per l'Assemblea regionale dei Giovani Democratici. I 27 delegati eletti da ragazze e ragazzi dai 14 ai 29 anni lo scorso 21 novembre eleggeranno il segretario regionale del movimento giovanile del Pd. Era ora! da novembre ad oggi è passato tanto tempo e invece ci sarebbe tanto da fare.

Io personalmente sarò lì solo perché me lo impone l'"etichetta", non sono un delegato, avendo già fatto la scelta di non candidarmi a quelle primarie: a 27 anni credo di poter dare il mio contributo sotto forme di idee e consigli, ma è giusto che altri si facciano le ossa in questo movimento, d'altra parte ho già i miei impegni nel Pd "adulto" e mi bastano!

Ho letto in questi giorni i programmi dei due candidati, Elisa De Sabbata e Andrea Gos.
Sono programmi molto diversi, non è affatto vero che sono simili. Per nulla. La differenza che li separa è grande nell'idea degli scopi che un movimento politico giovanile deve avere.

In estremissima sintesi (i due candidati mi perdoneranno se non dovessi aver colto le loro intenzioni..) Elisa pone l'accento sulla formazione politico-amministrativa, sull'antifascismo, sul movimento giovanile come agente di formazione nei confronti dei più giovani. Andrea sottolinea invece l'importanza dell'azione del movimento all'interno delle rappresentanze collegiali di scuola e università (rappresentanti degli studenti, rappresentanti di facoltà, Cnsu ecc.), poi si concentra sulla formazione di tipo politico-culturale, l'ambiente, l'Europa, i temi etici e i diritti civili.

La prima grande differenza la si nota nella formazione. Per Elisa si tratta di fare corsi di diritti pubblico, bilancio degli enti locali e così via... l'idea alla base è la formazione di quei giovani militanti di partito che, un giorno, potranno essere consiglieri comunali o assessori ecc.
Per Andrea si tratta invece di formazione culturale: su grandi temi di attualità, per sviluppare evidentemente una coscienza critica, e propone la modalità della scuola estiva.
La modalità in sè non presenta grande rilevanza, credo, ma l'impostazione degli argomento è assai diversa e, secondo me, nasconde una forte diversità rispetto agli scopi dei GD. La formazione amministrativa va bene se pensiamo ad un movimento di militanti impegnati, futuri "dirigenti", ma la formazione culturale va meglio se pensiamo ad un movimento di centinaia di giovani a cui cerchiamo di instillare i valori propri del Pd, sviluppare in loro un senso critico, una coscienza della realtà sociale e così via. La mia esperienza è che solo una frazione minima dei giovani impegnanti o vicini a movimenti politici giovanili svolgerà poi un'attività politica, quindi credo abbia maggiore utilità una formazione di tipo culturale.

L'altra grande differenza riguada appunto il mondo dell'istruzione. Per Elisa pensare al Cnsu, alle "cariche" elettive universitarie rappresenta un agire riduttivo, che perde inoltre di vista lo scopo primo, che è invece di farsi carico della necessità di informare i nostri coetanei sullo stato della scuola e dell'università.
Per Andrea invece dobbiamo massimizzare la presenza negli organi elettivi di rappresentanza degli studenti.
A parte il fatto che personalmente ritengo che entrambe gli scopi vadano perseguiti, mi trovo a dover sottolineare che gli organi elettivi degli studenti, se controllati dalle formazioni di centrosinistra, potrebbero finalmente iniziare ad essere impiegati per fare un'azione di politica scolastica e universitaria "dal basso": far sentire davvero la voce degli studenti ed evitare, come spesso accade, che chi viene eletto i questi organi non rappresenti nessuno se non se stesso.


Per il resto, il fatto che Andrea abbia parlato di ambiente e Elisa no, che Elisa abbia parlato di antifascismo e Andrea no, lo reputo solo una scelta "di argomenti" da mettere in documenti che, in entrambi i casi, non poteva che essere sommario. Mi interessa tuttavia molto l'attenzione che Andrea ha posto sui temi etici, un ambito nel quale un movimento giovanile può fare molto.

Che dire, spero che questo pomeriggio ci sarà modo di discutere di programmi.

Donne

La prima legge firmata dal neopresidente americano Barack Obama è una legge per la parità salariale tra uomo e donna.

In questi stessi giorni, in Friuli Venezia Giulia il PDL ha approvato una legge che elimina l'obbligo di almeno 3 donne nella giunta regionale (formata da 10 assessori) nonché altri obblighi in termini di "quote rosa" nelle liste elettorali.

Paese che vai...

venerdì 30 gennaio 2009

Domanda e offerta... e la crisi

Tutti dicono che nell'attuale crisi emerge in maniera particolare il calo dei consumi da parte del ceto medio. Logica vorrebbe che gli interventi anti-crisi mirino a sostenere la domanda interna e invece...

...invece gli interventi si stanno concentrando sul dare la possibilità alle imprese di superare più o meno indenni il momento non proprio felice. Il punto non è che non si debba aiutare le imprese, il punto è che è inutile.
Il problema strutturale delle economie europee è la debolezza della domanda interna. Nel caso statunitense, la crescita economica è stata sostenuta dalla domanda, tuttavia con due precisazioni: 1) che tale domanda non era sostenibile, ed infatti si è alimentata con il debito, e 2) che tale domanda consumava cose prodotte altrove, alimentando il deficit commerciale.

Così in fondo la situazione americana non è poi così dissimile da quelle europee. In entrambi i casi siamo in presenza di economie che non sono in grado di alimentare una domanda endogena, se non ricorrendo all'indebitamento. Certamente l'Europa ha il vantaggio di avere una struttura industriale più solida, e certamente gli USA hanno la possibilità di ricorrere al debito molto più degli europei (o almeno avevano questa possibilità).

Però... se il problema è la domanda, perchè ci preoccupiamo dell'offerta? cioè perché ci preoccupiamo di sostenre la produzione quando il problema è sostenere la domanda interna?

Mah!

martedì 20 gennaio 2009

Cos'è ingiusto?

Fare opposizione è importante, ma credo lo sia anche il modo.

Certo, essere all'opposizione non significa avere responsabilità di governo o amministrazione, ma posizioni e scelte prese mentre si è in opposizione hanno un peso per definire l'offerta politica, l'immagine che si dà agli elettori e così via. Insomma, un minimo di coerenza non guasterebbe.


Questo manifesto del Pd veneto mi lascia qualche perplessità. Ha senso cavalcare l'umore della gente, le irrazionalità della maggioranza, solo allo scopo di metterla in difficoltà con il proprio elettorato, prendendo una posizione che tuttavia sappiamo essere diversa dalla nostra?

Perché spero che il PD veneto non ritenga che salvare le casse comunali della capitali sia ingiusto. Se così fosse, allora si porrebbe all'interno del Pd un chiaro problema e direi che all'autonomia delle articolazioni regionali e locali sarebbe allora il caso di dare un taglio.

domenica 18 gennaio 2009

Oh! Sono sbalordito!

A volte si sfiora il ridicolo...

...La vicenda dell'ospedale di Gorizia invece nel ridicolo c'è proprio cresciuta.

Se per settimane un consigliere comunale d'opposizione (di Rifondazione) fa presente che, in base a informazioni in suo possesso, c'è il rischio che ci sia amianto nel nuovo ospedale, realizzato con una spregiudicata e assurda operazione immobiliare da anni denunciata dal centrosinistra, e quando l'ASS conferma che è così, che i terrazzini dell'ospedale hanno amianto (e già voi vi direte: a che servono i terrazzini in un ospedale? mica è un condominio!)... bene, e se per mesi il centrosinistra (soprattutto il Pd, questa volta) ha denunciato come il sindaco si rifiutasse di far conoscere il progetto dell'ospedale, che si rifiutasse di dare spiegazioni sugli innumerevoli problemi che il nuovo ospedale mostrava che avrebbe avuto.
Se, ora che il trasloco dell'azienda ospedaliera nel nuovo ospedale è stato realizzato e certi reparti non vi trovano spazio perché il nuovo ospdale è troppo piccolo (anticamera della soppressione di certi reparti? decisione politica questa o semplice incompetenza?), se certi uffici dell'ospedale non hanno ancora il telefono, se il giorno del trasloco per diverse ore il centralino del 118 non ha funzionato (spero che nessuno ne abbia avuto bisogno)... se tutte queste cose sono avvenute, e sono avvenute, non vi pare che l'aggettivo "ridicolo" possa definire ciò che il sindaco Romoli, del Pdl, ha detto oggi: "sono sbalordito"?

Ridicolo ridicolo ridicolo.

Ma è solo una mia opinione, certo, però era Romoli che diceva che andava tutto bene, che l'opposizione faceva rumore per nulla e che dopo il "trasloco" tutto sarebbe funzionato a dovere.
E ora è sbalordito.
Mah!



sabato 17 gennaio 2009

La crisi e il nulla..

Capita a volte che i quotidiani segnalino le preoccupazioni per la debolezza dei provvedimenti del governo di fronte alla crisi. Per inciso, l'opposizione, in primis Pd e Prc, lo dicono da tempo: il governo non ha fatto praticamente nulla contro la crisi, avendo tra l'altro sperperato 15 miliardi di euro nell'eliminazione dell'Ici, un provvedimento che in larga misura beneficia un ceto proprietario tendenzialmente agiato, e quindi si tratta di una misura che non favorisce i ceti maggiormente colpiti dalla crisi. In altre parole, non è una politica che sostiene i redditi e i poteri d'acquisto.

Comunque sia... pare dunque che improvvisamente anche gli industriali si siano accorti che questo governo non è tutto oro, e che Tremonti non sia poi 'sto gran genio. Ma come mai cotanta preoccupazione degli industriali?

Vediamolo.

In Germania, il governo Merkel, benché abbia respinto l'"assalto alla diligenza", ha comunque stanziato 25 miliardi di euro per far fronte alla crisi. Inoltre, una volta stabilito in sede europea che potevano essere "allargate le maglie" degli aiuti di Stato, il governo tedesco si è messo al lavoro a tappe forzate, elaborando un piano che è stato sottoposto e approvato dalla Commissione europea. Così dal 2010 le imprese tedesche potranno beneficiare di non trascurabili vantaggi competitivi.
Nonostante il governo Berlusconi abbia più volte detto che andavano "allargate le maglie" e sostenute le imprese, non si è invece mosso, e per ora le nostre imprese non saranno autorizzate a beneficiare di contributi in misura aggiuntiva in quanto un piano in tal senso non è ancora stato presentato dal nostro governo alle autorità europee.

Ma soprattutto il governo Berlusconi ha stanziato per la crisi appena 5 miliardi di euro. Una somma ridicola, se pensiamo al fatto che la sola, fallimentare e assurda gestione Tremonti-Letta della vicenda Alitalia ha fatto perdere allo Stato italiano 3,5 miliardi di euro (tra debiti passati allo stato e mancato introito dalla vendita della compagnia aerea rispetto ad aprile quando Air France era disposta ad accollarsi i debiti e pagare 1 miliardo...).

Inoltre, il governo Berlusconi continua a negare l'evidenza: e cioè che vi sia la necessità di agire per sostenere la domanda interna (ovvero i consumi delle famiglie!) che, in effetti, è il vero tallone d'achile dell'economia europea. Si continua invece a dire che bisogna fare infrastrutture ecc... il cui effetto, se va bene, lo vedremo tra 10 anni. E soprattutto, si tenga presente che non è la strada più larga o l'aeroporto più capiente che rende veramente competitive le imprese...


domenica 11 gennaio 2009

L'Europa e l'Irlanda

Secondo un recente sondaggio, gli irlandesi non sarebbero più contrari al Trattato UE per la riforma delle istituzione comunitarie, che loro stessi avevano bocciato questa primavera con un referendum.
A parte che probabilmente non sono mai stati davvero contrari al Trattato ma ha influito una disaffezione verso il governo in carica o semplicemente una scarsa comprensione delle istituzioni europee... comunque secondo la Reuters ora un nuovo referendum potrebbe vedere un risultato positivo per l'Unione europea.
Nel dettaglio, il governo irlandese ha negoziato con le istituzioni europee relativamente ad alcuni temi considerati "scottanti" dagli elettori dell'isola: la neutralità militare, la politica fiscale, i diritti dei lavoratori e il commissario permanente.
Ciascuno di questi punti merita varie considerazioni. la garanzia di rispetto della neutralità dei paesi membri oggi non ha alcun significato visto che l'UE non ha una politica militare ed estera comune, ma in futuro una riflessione in tal senso andrà fatta. Per quanto riguarda fiscalità e diritti dei lavoratori, sono ben contento per ora che le competenze rimangano statali, perché mentre l'UE ha fatto molto sul campo dei diritti del consumatore e del cittadino, è alquanto lacunosa su quello dei diritti del lavoratori, dove domina in effetti una tendenza a privilegiare una flessibilità lavorativa sul modello anglosassone. Una visione che gode del supporto di paesi scandinavi e Paesi Bassi, che però associano questo schema dei rapporti di lavoro ad un welfare state che consente di minimizzare gli effetti sociali della perdita del lavoro, innanzitutto con strumenti di sostegno del potere d'acquisto. Inoltre, le banche nordeuropee concedono credito facilmente anche a chi non ha un lavoro fisso, cosa che non avviene, ad esempio, in Italia.
L'intreccio di rapporti di lavoro, politiche sindacali e sociali si sono create negli anni tenendo conto di un complesso di condizioni locali.
Chiaramente, non ci sarebbe nessun problema a far regolamentare queste cose a livello comunitario. A suggerire, a mio avviso, il mantenimento della competenza in sede locale, è però la considerazione che l'Europa non è probabilmente oggi in grado di affrontare shock economici asimmetrici (che colpiscano ad esempio uno stato e non gli altri), perché ogni intervento a favore di uno stato specifico sarebbe visto come un "regalo". Così facendo però si rischierebbe di non avere più quegli strumenti che permettono ad un paese membro oggi di intervenire per sostenre aree economicamente in crisi perché magari la loro economia si basava tutta su un settore specifico in crisi.
Oggi il mantenimento della politica fiscale in mano statale è una garanzia di migliore governance dell'economia.
Ma soprattutto, smettiamo di parlare di Europa economica e pensiamo a quella politica: è la politica estera il terreno su cui dobbiamo misurarci!

giovedì 8 gennaio 2009

Tavola rotonda sull'università

A quanto pare la salute di Mussi vacilla...
Comunque siccome l'ex ministro è malato (o vacillante?) l'iniziativa è stata rimandata... ops.

---

Lunedì mattina si terrà a Gorizia, presso l'Aula Magna del Polo universitario di Via Alviano (sede Università di Trieste) una tavola rotonda sul tema dell'università.

lunedì 12 gennaio alle ore 10.15

Si discuterà dello stato del sistema accademico italiano, dei suoi mali e delle ricette per rilanciarlo in un'ottica di “Europa regione della conoscenza”. Interverranno:
  • Fabio Mussi ministro dell'università e della ricerca 2006-2008
  • Francesco Peroni Rettore dell'università di Trieste
  • Roberto Scarciglia preside della Facoltà di Scienze Politiche di Trieste
  • Giliberto Capano preside della Facoltà di Scienze Politiche di Bologna (da confermare)
  • Paolo Prelazzi presidente Consiglio degli studenti Trieste

E' un momento delicato questo per l'università italiana: ieri la Camera dei deputati ha approvato la
fiducia sul decreto Gelmini che, ben lungi dall'essere una riforma, di fatto ag. Ne potete leggere di più e meglio sul sito dell'on. Alessandro Maran). E recenti indagini indicano che il sistema, ormai a oltre 5 anni dall'introduzione del 3+2, sta entrando in crisi, tra scadimento della qualità dell'istruzione universitaria e continua riduzione dei fondi pubblici. Anche Gorizia, peraltro, non è immune e, complice il fatto di essere "sede distaccata", rischia di subire anche maggiormente gli effetti della carenza di fondi.


Vi invito a visitare anche il blog dei Giovani Democratici della provincia di Gorizia e il sito di Studenti in Movimento, gli studenti del corso di laurea in Scienze internazionali e diplomatiche di Gorizia (Fac. Scienze Politiche, Univ. di Ts) i cui rappresentanti hanno organizzato l'evento di lunedì.