domenica 11 gennaio 2009

L'Europa e l'Irlanda

Secondo un recente sondaggio, gli irlandesi non sarebbero più contrari al Trattato UE per la riforma delle istituzione comunitarie, che loro stessi avevano bocciato questa primavera con un referendum.
A parte che probabilmente non sono mai stati davvero contrari al Trattato ma ha influito una disaffezione verso il governo in carica o semplicemente una scarsa comprensione delle istituzioni europee... comunque secondo la Reuters ora un nuovo referendum potrebbe vedere un risultato positivo per l'Unione europea.
Nel dettaglio, il governo irlandese ha negoziato con le istituzioni europee relativamente ad alcuni temi considerati "scottanti" dagli elettori dell'isola: la neutralità militare, la politica fiscale, i diritti dei lavoratori e il commissario permanente.
Ciascuno di questi punti merita varie considerazioni. la garanzia di rispetto della neutralità dei paesi membri oggi non ha alcun significato visto che l'UE non ha una politica militare ed estera comune, ma in futuro una riflessione in tal senso andrà fatta. Per quanto riguarda fiscalità e diritti dei lavoratori, sono ben contento per ora che le competenze rimangano statali, perché mentre l'UE ha fatto molto sul campo dei diritti del consumatore e del cittadino, è alquanto lacunosa su quello dei diritti del lavoratori, dove domina in effetti una tendenza a privilegiare una flessibilità lavorativa sul modello anglosassone. Una visione che gode del supporto di paesi scandinavi e Paesi Bassi, che però associano questo schema dei rapporti di lavoro ad un welfare state che consente di minimizzare gli effetti sociali della perdita del lavoro, innanzitutto con strumenti di sostegno del potere d'acquisto. Inoltre, le banche nordeuropee concedono credito facilmente anche a chi non ha un lavoro fisso, cosa che non avviene, ad esempio, in Italia.
L'intreccio di rapporti di lavoro, politiche sindacali e sociali si sono create negli anni tenendo conto di un complesso di condizioni locali.
Chiaramente, non ci sarebbe nessun problema a far regolamentare queste cose a livello comunitario. A suggerire, a mio avviso, il mantenimento della competenza in sede locale, è però la considerazione che l'Europa non è probabilmente oggi in grado di affrontare shock economici asimmetrici (che colpiscano ad esempio uno stato e non gli altri), perché ogni intervento a favore di uno stato specifico sarebbe visto come un "regalo". Così facendo però si rischierebbe di non avere più quegli strumenti che permettono ad un paese membro oggi di intervenire per sostenre aree economicamente in crisi perché magari la loro economia si basava tutta su un settore specifico in crisi.
Oggi il mantenimento della politica fiscale in mano statale è una garanzia di migliore governance dell'economia.
Ma soprattutto, smettiamo di parlare di Europa economica e pensiamo a quella politica: è la politica estera il terreno su cui dobbiamo misurarci!

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