domenica 29 marzo 2009

Lavorare di più

Per Berlusconi i disoccupati dovrebbero rimboccarsi le maniche e lavorare di più. Eh già, questa masnada di sfaticati non deve certo lamentarsi, lavoro ce n'è in abbondanza!

Al di là della battute, comunque deprecabili, le affermazioni del neopresidente del Pdl confermano però una tendenza che negli ultimi anni opinionisti ed economisti hanno cercato di inculcare in tutti noi: bisogna lavorare di più!

Certo, in un momento in cui la disoccupazione cresce e il lavoro non c'è, è un'affermazione paradossale, ma merita un po' di attenzione capire cosa c'è sotto a questa affermazione che sentiamo ripetere ormai da alcuni anni.

Lavorare di più, certamente, è un modo come un altro per incrementare la ricchezza nazionale. Se come Adam Smith ci insegna, il prodotto è dato da lavoro + capitale, allora se aumentiamo il lavoro aumenteremo anche la produzione.

Ma generalmente lavorare di più è stato inteso come un modo per chiedere ai lavoratori di fare meno ferie, di fare straordinari pagandoli come ordinari, di lavorare più a lungo, di lavorare più ore con lo stesso stpendio di prima e così via. Il tutto per perseguire quella chimera chiamata produttività.

Sullo stesso filone si collocano le affermazioni in base alle quali le retribuzioni dovrebbero essere collegate all'andamento della produttività dell'azienda. A parte il fatto che il profitto dell'azienda non necessariamente collima con la produttività del lavoro (e non sarebbe male chiarire a quale delle due cose ci si riferisce, cosa che probabilmente riserverebbe inquietanti sorprese), va detto che le implicazioni di queste politiche non vengono mai messe molto in chiaro.


Innanzitutto, l'accento sulla necessità di lavorare di più è uno spot, che nasconde l'esigenza di incrementare il lavoro mantenendo costante però il costo del lavoro. Perché per aumentare il lavoro in sè, le politiche da fare sarebbero ad esempio quelle che mirano all'incremento del part-time e dell'occupazione femminile, quelle che favoriscono l'incontro tra domanda e offerta di lavoro e, rendendo il mercato del lavoro più "liquido", riducono la disoccupazione "istituzionale" legata al cattivo funzionamento del mercato del lavoro, per non parlare di politiche che mirino ad avvicinare il sistema della formazione alle effettive necessità del mercato del lavoro (perché continuano a scarseggiare gli ingegneri mentre abbondiamo di laureati disoccupati?).

Invece chiedere che si facciano più straordinari ma pagandoli meno, detassare gli straordinari per incentivarne, di fatto, l'utilizzo da parte delle imprese (misura presa la scorsa estate dal governo Berlusconi), ridurre le ferie o le festività, sono misure che mirano a incrementare il contenuto di lavoro e la produzione piuttosto che il contenuto in capitale. Ovvero sono misure tipiche di un'economia incapace di innovare o di reperire capitali. Certo, è fin troppo evidente che si tratta di una definizione che calza a pennello con l'Italia.


Per quanto riguarda poi, il legame tra produttività e salari, è fin troppo evidente il pericoloso ricatto a cui si espongono i lavoratori in questo modo, di fatto costretti a condividere con l'imprenditore il rischio d'impresa: ma la differenza tra salariato e imprenditore non stava proprio qui? Il possesso del profitto aziendale non dovrebbe essere il premio per il rischio d'impresa? In caso di profitto, il premio per il lavoratore dove sarebbe?

Resta però certo e giusto un altro aspetto: il legame favorirebbe la giusta allocazione delle risorse economiche tra i vari settori produttivi. Se i salari crescono maggiormente in un settore che è in rapido sviluppo, con una crescente produttività, la maggior parte dell persone cercherà di lavorare in quel settore, che quindi avrà maggiore disponibilità di lavoro, ci saranno più laureati in quel settore piuttosto che in altri, e verrà favorito lo sviluppo dell'economia nei settori che danno maggiori chance per il futuro.


Ma ecco allroa che questa sì, sarebbe una competizione salariale virtuosa, che premia con il salario l'innovazione e il rischio, non una competizione tra poveri per un tozzo di pane.

C'è modo e modo di lavorare di più, insomma.

1 commento:

lucky ha detto...

quante parole...
Le aziende STROZZATE DALLE TASSE fanno in parte quello che vogliono(le "grandi" senz'altro), ma le piccole aziende CHE SONO UN'ENORMITA' IN ITALIA, pagano il 50% di tasse su quello che guadagnano, lavorano 14 ore al giorno, non prendono uno stipendio, pagano gli F24, i dipendenti, il mutuo, gli interessi alla banca e fanno solo quello che possono e con enorme volontà.
Il lavoro c'è ed è ovunque, moltissime piccole aziende cercano in questo periodo e paradossalmente NON TROVANO forza lavoro.
Secondo me la crisi è nella testa, più mattoni e meno piazze..